Mese: Marzo 2021

Teatranti piemontesi

Festeggiamo la Giornata del teatro con un po’ di ritardo, ma l’avevamo ampiamente previsto. Lo facciamo grazie alla Uilt (Unione italiana libero teatro) e, in particolare, alla segreteria regionale che s’è impegnata a “convocare” le compagnie piemontesi affiliate per realizzare un video celebrativo/dimostrativo, utile a far capire che, malgrado tutto, ci siamo e abbiamo voglia di fare.

La Compagnia Teatrale Fubinese ha aderito volentieri all’appello. Stasera, dalle 20.30, il filmato sarà visibile a questi link:

https://www.youtube.com/watch?v=ULHak_kBFUE
https://www.facebook.com/UnioneItalianaLiberoTeatro
https://www.facebook.com/Uilt.Piemonte

Vaime e l’importanza degli autori

Noi che abbiamo velleità di autori (prima ancora che di attori, nel mio caso) non possiamo non ricordare Enrico Vaime, morto poche ore fa. Aveva 85 anni, è stato uno delle migliori menti della televisione e della radio; ha firmato trasmissioni di successo, da “Canzonissima” in poi. Se il duo Vianello-Mondaini o Gino Bramieri hanno avuto tanto successo, molto lo devono a Vaime e, in certi casi, al suo partner Terzoli. Ha scritto per il teatro, per le fiction, ha lanciato personaggi dello spettacolo.

Vaime è stato la prova di quanto gli autori siano importanti, di quanto conti la scrittura e di come, dietro le quinte di uno spettacolo, ci sia spesso un lavoro enorme, fatto di abnegazione, confronti, fatica, correzioni, guizzi. Nel caso di Vaime, a tutto ciò s’è aggiunto il suo essere genio.

Il nostro Dante

Mi ricordano i veterani della Compagnia Teatrale Fubinese (non che io dimenticassi, ma è bello che me lo abbiano ricordato loro) che anche noi, noi teatranti di Fubine, abbiamo avuto il nostro Dante Alighieri. Anno 1983: la compagnia era nata da poco; quell’anno portò in scena una commedia che ha fatto epoca (per noi) perché era la prima “autoprodotta” dopo serate trascorse tra vino, salami, dolci e chiacchiere. I meriti sono di molti. Qualcuno purtroppo non c’è più, come Rino Ferraris, perfetto nei panni del Sommo Poeta. Lo ricordiamo spesso, lo facciamo ancor più volentieri oggi, con l’Italia che celebra il Dantedì.

In fatto di somiglianza, almeno con l’immagine di Dante che ci hanno sempre tramandato, Rino è stato secondo a pochi.

Qui Brusasco, a voi radio

Radio Nerazzurra non è esattamente il punto di riferimento della mia squadra del cuore. Ma non posso che ringraziare gli speaker per avermi ospitato per parlare del libro “Le mani del mago”, dedicato a Sergio Viganò (su questo sito trovate tutte le info).

Un’occasione (poche, purtroppo, causa Covid) per raccontare la storia di un massaggiatore strepitoso, della sua amicizia con Roberto Mancini e dell’amore per il Monferrato.

Ricordandovi che l’editore è Bradipolibri e che “Le mani del mago” si trova sugli abituali store online (oltre che in libreria), ecco l’intervista audio.

In dialetto non si dice “ti amo”

Sarà che i nostri vecchi erano concreti, sarà che alle parole preferivano i fatti, ma in dialetto non si dice “ti amo”. E’ solo una curiosità di un simpatico e istruttivo video che ci ha regalato Max Biglia col suo fantasioso staff. E’ gente impegnata a promuovere il territorio monferrino e, contestualmente, la parlata locale.

Sono orgoglioso (intraducibile in vernacolo?) d’aver partecipato, anche a nome della Compagnia Teatrale Fubinese. Stasera il video è stato pubblicato: se avete voglia di trascorrere 40 minuti nel passato… questo è il link: https://youtu.be/VpEdSdkjZa8

Nella foto, Angelo Balestrero, detto Giplinu: avrebbe molto più titolo di me per raccontare il dialetto. Spero lo stia facendo altrove, dove si parlano tutte le lingue del mondo.

Mercoledì su Radio Nerazzurra

Sergio Viganò vinse con l’Inter un celebre scudetto, grazie a Ibrahimovic. Era in panchina, la partita a Parma non si sbloccava, mister Mancini lo mandò in campo, lui segnò due reti. Decisive, si capisce.

Anche di questo scrivo nel libro “Le mani del mago”, (Bradipolibri editore), dedicato a Viganò, straordinario fisioterapista, pluriscudettato. Avrò occasione di parlarne domani, mercoledì, dalle 10.25, a Radio Nerazzurra (www.radionerazzurra.it), ascoltabile sul web (si può anche scaricare l’app.

Un quarto d’ora per parlare del libro, uscito un anno fa, del Viga, di Mancini e di un bel po’ di aneddoti che hanno per protagonista Sergio, dai tempi dei Grigi a quelli del Manchester City.

I giornalisti sono utili?

Pur in zona rossa e in lockdown le edicole sono aperte: significa, quindi, che i giornali sono utili. E se i giornali sono utili e, per estensione, se l’informazione è importante, probabilmente anche i giornalisti (e, dunque, quelli che fanno informazione) sono utili.

Essere utili non significa necessariamente essenziali, ammesso che le parole abbiano un senso. Il dibattito lo ha scatenato Selvaggia Lucarelli che, prima di andare fuori dal seminato, ha posto un tema interessante, chiedendosi anzitutto se quella dei giornalisti è una categoria meritevole di priorità in fatto di vaccino. L’occasione è stata ottima per sparare contro i giornalisti anche perché sono i giornalisti stessi a prestare il petto a chi non aspetta altro di impallinarli.

Premesso che appena mi danno occasione di ricevere il vaccino sarò ben lieto di sottopormi, è evidente che se un giornalista fa smart working o, comunque, è confinato in un ufficio o magari in uno studio televisivo o radiofonico, anche se svolge un ruolo di primaria importanza, non ha necessità di precedenza. Diverso il caso di chi, a esempio, fa il cronista “sul campo”, dove la gente s’accalca o in luoghi sensibili, come ad esempio gli ospedali.

Questo dovrebbe essere un ragionamento sensato che potrebbe dare occasione all’Ordine dei giornalisti, ad esempio, di fare qualche seria distinzione tra chi ha quello giornalistico come lavoro principale e chi è iscritto pur avendo ben altro come fonte di reddito. Con ciò, la speranza mia è che ci si vaccini il più possibile il prima possibile. E che chi fa il giornalista non consideri se stesso essenziale, semmai che venga considerato tale dall’utente.

Grazie signor Lou

Onore a un signore che si chiamava Lou Ottens e che è mancato oggi. Fu l’inventore delle musicassette. Quelli della mia generazione sono cresciuti con i nastri, da maledire quando si impigliavano nel mangiacassette (il verbo mangiare avrebbe dovuto farci capire molto…), da riavvolgere usando la biro, da incidere quando erano in versione “vergine”.

E’ chiaro che c’era più affezione per i dischi in vinile, però le musicassette le sentivi più tue, grazie alla funzione di “play e rec” che ti consentiva di crearti la personalissima hit parade, con la complicità di trasmissione cult come Discoring o Superclassifica Show che proponevano i brani del momento.

Alla notizia della morte di Lou Ottens sono tornato adolescente. E mi sono scorse nella mente luci psichedeliche, ragazze da conquistare, cantautori per intristirsi. E anche mia mamma, spesso puntuale nel contaminare la registrazione, parlandoci sopra. L’avrei maledetta, ma che bello che era.

Sanremo, il non problema

Il problema non è Sanremo, semmai è quello che non è Sanremo. Non è Sanremo il cinema e il teatro, non sono Sanremo i concerti, giusto per rimanere nel mondo dello spettacolo. Il Festival non solo credo abbia il diritto di esserci (se rispetta le regole), ma anche una sorta di dovere, per quel che garantisce all’indotto e, mettiamola così, al morale di molti.

Il problema non è Sanremo che apre, ma tutto ciò che resta chiuso e che potrebbe riaprire in sicurezza. Ben venga il Festival se riesce (come pare) a dare voce a chi con gli spettacoli vive e che, da un anno ormai, s’aggrappa a tanta speranza e a pochi ristori.

Facoltà di parola

Tra i tabù che non erano stati ancora infranti nella società moderna, c’era la facoltà di parola data agli arbitri di calcio. Finalmente, si è posto rimedio, e pure in modo sensato: non si chiede al direttore di gara di esternare a fine partita, quando emotività, tensione e stress potrebbero giocare brutti scherzi, ma di spiegare, serenamente, in un comodo studio televisivo, con evidenti tutele Rai.

Orsato, celebre arbitro di Schio, ha debuttato come arbitro in attività… parlante. E’ stato esemplare testimone di una categoria spesso bistrattata, composta non solo da atleti autentici ma da soggetti che, se la vogliamo mettere sul piano intellettivo, vincono di gran lunga il confronto con la maggior parte dei calciatori, ai quali viene concessa la giusta libertà di espressione (fatti salvi i vincoli imposti dalla società di appartenenza).

Nell’epoca dei social e della comunicazione, l’arbitro era rimasto uno dei pochi soggetti costretti al silenzio. L’altro è Draghi, per volontà sua (e, forse, ottime ragioni).