Ore nove meno qualcosa; zero gradi; sole pallido. Prima persona vista: la vicina di casa. A seguire, tre che spingono una macchina in un cortile (“avete bisogno?”, “no, tutto a posto”, “buon anno”, “buon anno”). Invece, sulla strada provinciale, di auto non ne passano ancora.

Come ormai tradizione, inizio l’anno di corsa. Nessuna impresa da tramandare ai posteri, se non un’iniziativa che sa di buon auspicio e che, volendo, si può caricare di significati, attinenti alla forza di volontà, all’impegno fisico, al movimento, allo smaltire, al ragionare, al progettare… Perché se corri da solo, e lo fai all’alba dell’anno nuovo, inevitabilmente qualche pensiero inerente il futuro immediato ti passa per la testa. E qualche augurio te lo fai, estendendo gli auspici di cui si diceva anche alle persone ti ti sono vicine, per poi arrivare ad ampliare gli orizzonti, col rischio di sconfinare nella retorica.

E allora, a scarpe tolte e doccia fatta, non mi resta che congedarmi con un (doppio) augurio: che si sia sani e pure umani.