Mese: Aprile 2021

Teatro, noi ci proviamo

Nel 2021 la Compagnia Teatrale Fubinese compie 40 anni. Purtroppo, come ampiamente noto, ci confrontiamo con una pandemia che limita le attività. Posto che la salute viene prima d’ogni altra cosa, noi proviamo comunque a organizzare festeggiamenti “come si deve”, nella convinzione che siamo riusciti a raggiungere un traguardo importante.

Abbiamo progettato iniziative che, se proprio non faranno rivivere appieno la nostra storia (40 anni sono tanti; pensate a quante persone abbiamo coinvolto in tutto questo tempo…), certamente la racconteranno in modo significativo. Lo faremo con quattro appuntamenti, che abbiamo pensato per l’estate, sempre ammesso che l’emergenza ce lo consenta.

A breve, vi daremo notizie più precise. Quel che è certo è che, pur a distanza, stiamo lavorando per regalarvi (e regalarci) qualcosa di speciale.

SuperTele e SuperLega

Io sono dell’epoca del SuperTele e di un calcio che ti faceva emozionare con poco (a quell’epoca, per ragioni anagrafiche, era anche più semplice lasciarsi emozionare, capirete). Ho assistito a infinite rivoluzioni del mondo del pallone, alcune ottime (la regola del retropassaggio al portiere, la gol line technology), alcune discutibili (a me la Coppa delle Coppe piaceva, per dire), altre pessime (i procuratori che guadagnano più di un luminare della medicina, per citare uno scempio).

Sento parlare di SuperLega, ovvero un torneo parallelo tra le più forti squadre d’Europa, come se la Champions non bastasse più. Non ho ancora avuto modo di entrare nei meandri del concetto, ma, messa giù così, mi sempre uno stravolgimento della logica e una folle concessione al business, come se il calcio fosse solo denaro (in effetti…).

Io tifo per la sopravvivenza, in tutto e per tutto, del nostro campionato nazionale, quello che permette al Benevento e allo Spezia di giocare contro la Juventus, l’Inter e il Milan (e magari pure di vincere), quello che probabilmente sarà vinto dalle squadre più ricche, ma che ti fa sobbalzare quando trovi il Verona di Bagnoli o quella meravigliosa Sampdoria di Vialli e Mancini, o il Chievo dei miracoli, o il Sassuolo di oggi, o l’Atalanta che ormai è nell’Olimpo. E infine: vincere a Manchester sarà pure suggestivo, ma poi, nel bar sotto casa, mica trovi un inglese da sfottere.

Io e il “quasi Nobel”

Ho avuto la fortuna di conoscere Jovan Divjak. Classe 1937, è morto pochi giorni fa; è noto per essere stato un difensore della causa bosniaca, lui di origini serbe, durante la sanguinosa guerra civile che, tra il 1992 e il 1995, ha colpito l’ex Jugoslavia.

A Divjak chiesi semplicemente il perché di quella guerra. Mi raccontò dell’equilibrio precario tra etnie diverse, della sete di potere di Milosevic e di un’Europa che è stata spettatrice del massacro. Lessi poi il suo libro, “Sarajevo mon amour”, e mi sono sentito clamorosamente ignorante, molto più di quanto pensassi di essere.

La grandezza di Divjak sta anche nella sua profonda umanità, nella grande generosità, nel suo sapersi rapportare con i suoi interlocutori, in particolare i giovani, senza mai far pesare né ruolo, né curriculum, né la candidatura a Premio Nobel per la pace. Sono infinitamente grato all’associazione Sie di Alessandria, con la quale andai in Bosnia, per avermi fatto incontrare Jovan, al culmine di un’esperienza che non dimenticherò mai.

Padre Leone, l’indimenticato

Una delle cose di cui vado fiero è il libro “Lo chiamavano Padre Leone”, che dedicai a don Ezio Vitale. Me lo ispirò Ferruccio Vitale, grazie al quale conobbi, purtroppo indirettamente, la vita e le opere di un prete straordinario, capace di mostrare la propria grandezza tanto nella diocesi di Alessandria, e a Valenza in particolare, quanto in Kenya, dove andò in missione. Don Ezio morì in Africa, nel giorno di Pasqua: la chiesa in cui si apprezzava a celebrare messa crollò a causa del maltempo. E per lui non ci fu nulla da fare. Era il 1985. Sono passati molti anni, ma Padre Leone viene ricordati di continuo. Ha seminato benissimo. E gran parte dei semi, per fortuna, hanno attecchito, all’insegna della bontà d’animo e della generosità.

Non mi dilungo. Vi lascio però, se gradite, la visione di un filmato che spiega molto di don Vitale.

Lo trovate qui: https://www.youtube.com/watch?v=Er2nl7GqR8I

Compagnia… avanti!

Dopo la “Dad”, abbiamo sperimentato la “Rad”, ovvero la riunione a distanza. Ci voleva. Non ha niente a che vedere con gli appuntamenti in presenza ma, come ormai è chiaro, bisogna fare di necessità virtù. Dunque, stasera la Compagnia Teatrale Fubinese si è ritrovata, per progettare (compatibilmente con quello che ci concederà l’emergenza) il futuro, in un 2021 che per noi è molto significativo. Compiamo 40 anni, un traguardo che abbiamo raggiunto mescolando entusiasmo e fatica, sorrisi e preoccupazioni, mietendo spettacoli, perché ne sono stati proposti in quantità.

La speranza è di tornare in scena presto. La certezza è che, quando sarà, lo faremo con la voglia di divertirci e di rallegrare il pubblico. Stasera abbiamo gettato basi su cui costruire. E presto vi presenteremo anche il logo che ci accompagnerà in un 2021 speciale, sempre ammesso che, bella stagione, vaccino e un po’ di fortuna, ci tengano a distanza un virus che, purtroppo, sta ancora condizionando le nostre vite.

Che Vita (casalese)

Siamo partiti dallo stesso “luogo cartaceo”, ovvero “La vita casalese”, il settimanale della diocesi che è mia ed è stata sua. Le nostre firme si incrociavano spesso. Per me, dunque, Paolo Filippi è sempre stato quello che scriveva sul giornale dove debuttai pure io. Siamo nella seconda metà degli Anni Ottanta. Lui classe 1962, io un po’ più giovane. Lui che ha sempre detto di voler fare il giornalista ma s’è dedicato a tutt’altro, io che, invece, faccio il giornalista perché, per quel che avrei voluto fare davvero, non avevo doti (e così il calcio è rimasto una passione).

Paolo Filippi è morto all’alba di Pasqua, stroncato da un infarto. E’ stato molte cose, soprattutto un politico. Di lui mi restano gli sfottò calcistici (non so se era più milanista o più anti juventino, ma non importa), l’amore per le nostre colline, il senso dell’ironia. E quei trascorsi “di penna” o, meglio, “di macchina per scrivere”, in attesa che inventassero i computer…