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Malgrado tutto, busiunà

Noi ci abbiamo provato e ringraziamo tutti quelli che hanno voluto seguirci in diretta o che lo faranno riguardando i video pubblicati su varie pagine Facebook fubinesi (compresa la mia). In un periodo in cui “niente è la stessa cosa”, non lo è neppure la busiunà, recitata davanti a uno schermo.

Però siamo contenti del risultato. Sappiamo dei molti ascoltatori e siamo grati alla tecnologia che ci dà una mano in epoca di distanziamento. Non proporre “neanche” la busiunà carnevalesca sarebbe stata un’ulteriore macchia in un periodo in cui il bisogno di un sorriso è forse più impellente del solito.

Un grazie anche alla Pro loco che ha appoggiato l’iniziativa, nella speranza di tornare quanto prima alla normalità. Ma questo è fin banale dirlo.

Stasera l’asta solidale

Ripeteremo una fortunata iniziativa e lo faremo con la convinzione di chi sa che la ricerca scientifica è fondamentale per il progresso della società.

Stasera, venerdì, alle ore 21, in diretta sulla pagina Facebook “Il Piccolo Alessandria” andrà in onda un’asta di undici opere che artisti locali hanno devoluto alla fondazione Solidal: il ricavato sarà, appunto, devoluto alla ricerca, in particolare per contrastare il mesotelioma.

Avrò il piacere di fare da banditore; per ogni artista, 5 minuti a disposizione, durante i quali, in diretta, raccoglieremo le proposte di offerte. Vi aspettiamo… online.

Allo Zecchino d’Oro

Mentre tutti stanno parlando del Festival di Sanremo, io vi racconto dello Zecchino d’Oro, concorso canoro al quale sono sufficientemente affezionato perché un’edizione fu vinta da una mia amica, Alice Lenaz (la conosceranno gli alessandrini), che, tra l’altro, ha sposato un ragazzo belga conosciuto molti anni prima all’Antoniano, in quella (per molti motivi) fortunata edizione.

Mentre tutti stanno parlando del Festival di Sanremo, io vi dico che ho scritto una canzone per lo Zecchino. Convinto e affiancato da un altro autore, l’amico Sergio Muratore, che ha avuto la giusta ispirazione, ci siamo iscritti sperando di trovare un bambino o un coro che la possa cantare, possibilmente a Bologna. Significherà che siamo stati presi.

Fine della notizia. M’è parso simpatico darla, proprio perché tutti, ora, stanno parlando di Sanremo (e qualcuno anche di Draghi).

Faremo la “busiunà”

Lo scorso anno, a Fubine si svolse la festa di Carnevale, il Martedì grasso, in controtendenza rispetto ad altri paesi. Fu un evento in tono minore, per ovvie ragioni dovute a Covid che, comunque, stava già condizionando la nostra vita.

Quest’anno torneremo. Non ci sarà alcuna manifestazione pubblica, però non rinunceremo alla “busiunà”, la tradizionale poesia satirica. Pur nella convinzione (come da precedente post) che il teatro si può fare solo col pubblico (la “busiunà” non è teatro, d’altronde), abbiamo pensato che è bene non interrompere la tradizione, non solo per dare una parvenza di normalità, ma anche per portare buonumore (se possibile), tanto più che la tecnologia ce lo consente.

Martedì 16 febbraio alle ore 21, saremo in diretta Facebook. Come e dove ve lo faremo sapere. Intanto mi piace annunciarvi che ci saremo. Sperando di farvi cosa gradita. Non lo fosse, sarà sufficiente non collegarsi.

Il respiro del pubblico

Per quanto possa essere divertente una battuta, se non c’è un pubblico che ride ogni tentativo di comicità è inutile. Così a teatro, almeno. Il teatro ha senso solo col pubblico, altrimenti è un’altra cosa. Lo ha detto un giovane attore alessandrino, Davide Panizza, che ho avuto modo di intervistare per “Il Piccolo”.

Il concetto è stato ribadito da suoi colleghi (Alberto Basaluzzo, Emanuele Arrigazzi e Fabio Martinello) intervenuti a un dibatto in streaming organizzato da Francesco Parise. S’è parlato della necessità dell’attore di “ascoltare” il pubblico, dell’energia che arriva dalla platea e di quanto importate, per la riuscita dello spettacolo, sia il “respiro del pubblico”.

Pensateci. Pensiamoci quando torneremo sul palco, quando finalmente si potrà riprendere, quando avremo di nuovo sprazzi di normalità.

E, dall’esperienza Covid, noi teatranti dovremmo imparare anche questo: il teatro ha senso solo se c’è chi ci guarda. Che, cambiando ogni sera, fa sì che le nostre repliche non siano mai uguali.

Chi sono i “Fubinesi dell’anno”

Il “Fubinese dell’anno” è un premio che la Compagnia Teatrale Fubinese promuove per celebrare personaggi che si sono distinti nel mondo del volontariato, dell’economia, della cultura… La lista dei premiati è ormai sufficientemente lunga che merita di essere proposta per non disperdere un patrimonio qual è la memoria.

2008: Giuseppe Di Menza, fondatore dell’associazione L’Abbraccio, fortemente impegnata nel sociale

2009: Dina Fiori, sempre pronta ad abbellire Fubine con i suoi disegni, ma anche artefice di iniziative di volontariato

2010: Jacopo Garlasco, studente da premio, contribuisce a dare lustro a Fubine in concorsi di livello internazionale

2011: Angelo Balestrero, protagonista per mezzo secolo di amministrazione comunale e dell’associazionismo

2012: Maria Luisa Varaldi, grazie al suo impegno, sono nate, e si sono sviluppate, iniziative a favore dei giovani

2013: Mario Faletti, personaggio poliedrico, in prima linea, a vario titolo, in (quasi) tutte le associazioni del paese

2014: Andrea Filippelli, affermato ingegnere, contribuisce al successo di missioni spaziali internazionali

2015: Luigi Aluffo, imprenditore e benefattore, dà impulso all’economia fubinese, senza dimenticare l’aspetto sociale

2016: Andrea Desimone, architetto all’avanguardia, artefice di progetti residenziali innovativi arrivati anche in Russia

2017: Giuseppe Saglio, una brillante carriera da medico, svolta lontano da Fubine ma senza mai dimenticare il nostro paese

2018: Enzo Bo: punto fermo di Avis e Croce rossa, sempre presente quando occorre un aiuto dal punto di vista sanitario e assistenziale

2019: Angelo Longo, imprenditore che ha trasferito l’azienda a Fubine, ampliandola e dando un decisivo impulso all’occupazione

2020: Roberto Allario, con foto e video, realizzati anche col drone, contribuisce a fare conoscere Fubine dal punto di vista turistico

Bisogno di contatto

La scuola non sono solo libri, interrogazioni, verifiche. Anzi, se mi chiedessero di raccontare i miei anni scolastici, probabilmente (e colpevolmente?) non citerei nulla che riguarda la didattica. Vi parlerei di amici, amori, goliardia, vita da vivere negli intervalli, sguardi, sorrisi, sciocchezze di cui ci si sarebbe pentiti 10 anni dopo, idiozie di cui non ci si sarebbe pentiti mai.

La scuola (almeno quella superiore) è il luogo in cui si studia e si cresce. E’ l’adolescenza che sboccia e sfocia nell’età adulta. E’ il godersi l’età più bella, almeno così si dice, quella che a fatica contempla la parola “distanza”.

La famigerata dad è l’antitesi di “quella scuola lì”. Sarà pure un male necessario, ma, ricordando il mio passato con indubbia nostalgia, sono sinceramente rammaricato per chi, nel fiore degli anni e bisognoso di contatto umano, se ne deve stare davanti a un computer.

Caro San Francesco

Oggi, 24 gennaio, si celebra San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti. Lo scorso anno scrissi che ci sarebbe voluto un patrono per i lettori: ne sono sempre più convinto. Serve un “qualcuno” che li aiuti a capire, a non confondere ad esempio le testate giornalistiche con i blog e tanto più con messaggi pubblicati sui social.

Una testata giornalistica, per dire, è registrata in tribunale, ha un direttore responsabile e deve sottostare a norme codificate.

Per contro, caro San Francesco, se tu potessi dare una mano anche ai giornalisti non sarebbe male. Sono tempi difficili, come immaginerai. Nella mia categoria, quasi tutti si danno da fare per capire qualcosa di una realtà complicata e cercano di raccontarla nel modo migliore. Non sempre ci riusciamo, ma se tu che sei il nostro patrono riesci in qualche modo a darci una mano, ti saremmo grati.

Tra l’altro, il fatto che siamo ancora importanti lo dimostra che, malgrado la pandemia, le edicole sono sempre rimaste aperte.

Sanremo vs Teatro

Il problema, secondo me, non è mettere il Teatro (la maiuscola non è casuale) contro il Festival di Sanremo, come sembrerebbe da certi post sui social, con commenti al seguito. Semmai sarebbe utile “usare” il Festival di Sanremo per promuovere, il prima possibile, l’apertura dei teatri (ma anche dei cinema, direi) consentendo in questo modo non solo a moltissime persone di tornare a lavorare (attori, registi, tecnici, maestranze varie) ma anche al pubblico di tornare in sala e, dunque, di vivere sprazzi di vita più o meno normali.

Il teatro è un luogo sicuro: distanziamento, sanificazione, uso delle mascherine, misurazione della temperatura sono accorgimenti che vennero già presi in molte occasioni nei (pochi) momenti di riapertura, tra un’ondata e l’altra della pandemia. E’ chiaro che contrastare il Covid è la priorità, ma è altrettanto evidente che un teatro è facilmente governabile. E, se è in vigore il coprifuoco alle 22, si potrebbe pensare a spettacoli all’ora dell’aperitivo o, almeno, nei pomeriggi di sabato e domenica. L’importante, a mio parere, è vincere questa paralisi.

Non sfugge a nessuno l’importanza mediatica ed economica del Festival. Ma mi sembra che a troppi sfugga, invece, il fatto che il teatro dà da vivere a migliaia di persone, nel nostro Paese. Ben venga il Festival, dunque, se serve a far parlare di un problema colpevolmente relegato ai margini.

Il dramma vicino a casa

Un dramma è tale qualunque sia la distanza da casa nostra. Questo, però, avviene pure vicino, in Bosnia. Le avrete viste le immagini: profughi nella neve che cercano di raggiungere l’Italia, oppure confinati in una fabbrica dismessa. Attorno il gelo.

E’ una tragedia che dovrebbe riguardare (anche) l’Europa e che, perlomeno, dovrebbe farci riflettere, se non indignare. Ne racconto perché in Bosnia, in condizioni decisamente più favorevoli, ci sono stato, con l’associazione Sie, che ha tra le finalità aiutare popolazioni che, a inizio anni Novanta, hanno subito una guerra assurda e che, ancora oggi, ne pagano le conseguenze.

E’ un Paese di contraddizioni e corruzione, la Bosnia. Quel che fa la Sie è un’inezia rispetto ai bisogni. Ma è un’attività importante, volta a sostenere famiglie, bambini in particolare. Per me, resta un viaggio indimenticabile, straordinario per emozioni. Domani, sul “Piccolo”, con l’amico Paolo Ferrero, che nei Balcani è stato un’ottantina di volte, cercherò di raccontare quel che sta succedendo poco più in là del nostro confine.

E’ un’intervista che non sposterà nulla. Ma magari aiuterà a capire.