L’ipotesi della SuperLega (ma non piace, l’ho scritto qualche post fa) ha irritato fiumi di critici e semplici tifosi, dimentichi, comunque, che ormai da tempo il calcio è soprattutto business e che le società di calcio vivono in una dimensione che non ha niente a che vedere col nostro quotidiano (provate voi a permettervi deficit milionari, se ci riuscite). Il tutto con la complicità della Uefa, che tollera ciò che, tutto sommato, le fa comodo garantendole tornaconto.
Di ieri è la notizia che la Coppa Italia “principale” sarà limitata alle squadre di serie A e serie B. Chi abita dalle mie parti ricorderà il 2016: l’Alessandria, formazione di serie C, arrivò a giocarsi le semifinali del torneo con formazioni del calibro di Juventus, Inter e Milan. Col Milan si giocò l’andata a Torino e il ritorno a San Siro. Fu memorabile, anche se, probabilmente, l’impegno gravoso incise sulla stagione (ennesima promozione mancata).
L’augurio è che i Grigi possano essere nel ranking: significherebbe che saranno promosse in B, a sto giro. La certezza è che, escludendo le cenerentole dal ballo dei principi, si tarpano le ali alle speranze di rivedere una presunta grande contro una presunta piccola, togliendo quel fascino che in Inghilterra ben conoscono (le imprese impossibili, là, riescono spesso) e in Francia è diventato leggenda grazie al Calais.