Tra i tabù che non erano stati ancora infranti nella società moderna, c’era la facoltà di parola data agli arbitri di calcio. Finalmente, si è posto rimedio, e pure in modo sensato: non si chiede al direttore di gara di esternare a fine partita, quando emotività, tensione e stress potrebbero giocare brutti scherzi, ma di spiegare, serenamente, in un comodo studio televisivo, con evidenti tutele Rai.
Orsato, celebre arbitro di Schio, ha debuttato come arbitro in attività… parlante. E’ stato esemplare testimone di una categoria spesso bistrattata, composta non solo da atleti autentici ma da soggetti che, se la vogliamo mettere sul piano intellettivo, vincono di gran lunga il confronto con la maggior parte dei calciatori, ai quali viene concessa la giusta libertà di espressione (fatti salvi i vincoli imposti dalla società di appartenenza).
Nell’epoca dei social e della comunicazione, l’arbitro era rimasto uno dei pochi soggetti costretti al silenzio. L’altro è Draghi, per volontà sua (e, forse, ottime ragioni).