Quando eravamo stupidi, chiedevamo al portiere di parare. Con le mani, con i piedi, con il culo… ciao ciao. Bastava che parasse. Claudio Garella (che da ieri è altrove) parava, senza minimamente badare allo stile. A lui fregava che il pallone non entrasse in porta. Ci dava d’istinto e di stinco. Manate o pedate per lui era uguale. Così ha vinto due scudetti, e mica banali: l’unico del Verona e il primo del Napoli.
Garella era grosso e perfino grasso. Lo scrittore Maurizio De Giovanni ha spiegato che, oggi, un ragazzo che in età adolescenziale avesse fisico di Garella sarebbe indirizzato a fare altro ruolo, probabilmente altro sport, perché un portiere non lo si sceglie più solo perché para. E, se gli si consente di usare i piedi, è solo per la costruzione dal basso (che peraltro non è il male assoluto).
Va da sé che vi sto a raccontare di Garella per nostalgia, perché era una sorta di simbolo della mia gioventù. E perché anch’io, portiere senza alcuna dote, cercavo di parare con tutto quel che potevo. Con le mani, con i piedi, con il culo… ciao ciao.