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Continuavano a chiamarla Busiunà

Sì, si chiama “busiunà”, con due “u”. Lo so che è comunemente nota come “businà”, ma che ci volete fare? A Fubine funziona così, per lo stesso motivo per i quali gli “infernòt” sono chiamati, almeno da alcuni tra i più anziani, “linfernòt”. Il bello del dialetto sta proprio nella varietà. Oltre che nella “licenziosità”. Col vernacolo si creano  immagini  che, in lingua, sarebbero insulti. Ci sono esperti che vi possono rendere edotti sulla faccenda. Io mi limito a ricordare che, stasera, come ogni Martedì grasso, a Fubine si legge la “busiunà”, rito pagano con il quale ci si beffa, in rima baciata, dei personaggi più in vista. Ci si trova alle 21 in piazza Garibaldi, per il falò, la lettura, la distribuzione di dolci e vino.  E che sia un buon Carnevale.

“Busiunà”, la comunità che vuole ridere

Noi la chiamiamo “busiunà”, con due “u”. Siamo particolari anche per questo, a Fubine. E, contrariamente a molte altre realtà (da Alessandria a Castellazzo) la tradizione della poesia satirica carnevalesca non l’abbiamo mai interrotta. Stasera, dunque, come a ogni Martedì grasso, torneremo a leggere le rime dialettali; lo faremo io, Maurizio Ferrari e Paolino Capra durante i festeggiamenti in piazza Garibaldi (“ant al fos”), dove la Pro loco e il rione Centro bruceranno il falò e distribuiranno frittelle. In caso di maltempo, ci trasferiremo alla casa del popolo. La “busiunà” è una sorta di diario, un modo per ricordare cos’è accaduto in paese, un’occasione di presa in giro, anche senza di canoni della “rivolta del popolo” com’era alle origini. Non ci sono neanche più le bordate d’un tempo:   non è il caso di uscire dai canoni del garbo e del buon gusto, tanto più nell’epoca delle denunce facili. Si può ridere lo stesso, intanto. Vi aspettiamo stasera alle 21 per dimostrarvelo. E ci sarà anche un omaggio ad Anselmo Zoia, personaggio che per i fubinesi non ha bisogno di presentazioni. Se n’è andato di recente, con le sue fissazione e il suo modo di vedere il mondo da un’angolazione particolare (magari neanche così sbagliata).

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