Non dell’umanità, certo, ma del calcio di sicuro. Giovanni Trapattoni è un patrimonio. Ha vinto tanto, perso abbastanza, ma è stato soprattutto un inno all’allegria, un antidepressivo oltre che, come ricordano quelli che con lui hanno giocato, un autentico maestro, un motivatore,  un tecnico che riusciva a farti esprimere al meglio. E’ anche il Trap del fischio, del gatto nel sacco, di “strunz” e delle ritualità ai Mondiali. E’ l’emblema di un calcio un po’ più romantico, più semplice, più genuino di quello col quale ci stiamo confrontando.  E poi il Trap è stato il “mio” primo allenatore, esattamente come Boniperti fu il “mio” primo presidente. Ripenso a quegli anni e mi viene in mente un ragazzino col pallone, un oratorio, pomeriggi di partite, amicizie durature. Tanto mi basta per amare il Trap. Glielo direi, se potessi, oggi che lui compie ottant’anni.